Perchè studiare Musica ?

Il talento deve essere coltivato e ha bisogno di concrete opportunità per emergere.

«Insegnare musica è un lavoro inafferrabile. Bisogna cercare di individuare l’infinito che c’è dietro ai segni scritti, alle note. La musica, come dice Dante nel Paradiso, è rapimento, non comprensione»

 

Riccardo Muti

 

Finalità del corso della Classe di Flauto Traverso

L’insegnamento di uno strumento musicale nella scuola media si colloca all’interno di un progetto complessivo di formazione della persona, secondo i principi generali della scuola secondaria di I grado.

I docenti di strumento lavorano per accompagnare l’alunno nella formazione e nella scoperta di sé e delle proprie potenzialità, per renderlo consapevole, partecipe e responsabile, attento ai valori della tradizione e della cultura musicale,  inserito e integrato nella nostra società in continua evoluzione.

 

Perché iscriversi al corso ad indirizzo musicale?

Da molti anni gli esperti di pedagogia hanno dimostrato l'importanza della musica nell'educazione dei giovani, e soprattutto dello studio di uno strumento musicale, in quanto permette un armonioso sviluppo psicofisico, contribuisce a migliorare le relazioni tra coetanei, potenzia la loro intelligenza e sviluppa la creatività. 

La frequenza del Corso ad Indirizzo musicale, già di per sé vantaggiosa, promuove molteplici occasioni di scambio, d'incontro e di partecipazione a manifestazioni musicali che ampliano l'orizzonte formativo degli alunni e il loro bagaglio di esperienze favorendone una sana crescita, sia culturale che sociale, ed una significativa maturazione complessiva dal punto di vista artistico, umano ed intellettuale. Lo studio della musica effettuato nel corso ad indirizzo musicale resterà certamente un'esperienza altamente formativa per tutti gli alunni e, per chi lo desideri, sarà il percorso ideale per poter accedere al Liceo Musicale e ultimati gli studi liceali si potrà accedere al Conservatorio di Musica Statale.

Il Corso ad Indirizzo Musicale si prefigge non solo di guidare gli alunni alla conoscenza e all'uso del linguaggio musicale, sviluppando le attitudini del singolo, ma, secondo un'ottica più ampia, mira a preparare i discenti ad usare il linguaggio musicale quale importante mezzo per esprimere sentimenti e stati d'animo attraverso l'arte dei suoni (vincendo inibizioni e timidezze) e per meglio organizzare e condurre in maniera armoniosa qualsiasi altra esperienza umana e sociale. 

 

L’aspetto relazionale con la Classe di Flauto Traverso

Nell’insegnamento-apprendimento di uno Strumento musicale il rapporto docente-alunno è piuttosto particolare. Infatti è un rapporto uno-a-uno o uno-a-pochi (situazione rarissima nella scuola dell’obbligo), e ciò implica un livello molto alto di relazione interpersonale e affettiva. 

Inoltre l’apprendimento avviene in un contesto di costante operatività e di continuo controllo delle prestazioni dell’allievo. Non esiste una suddivisione temporale netta tra il momento della esposizione di un argomento, quello delle attività di classe e quello della verifica finale dopo lo studio domestico; tutti questi aspetti sono condensati in ciascuna lezione: ogni esecuzione rivela il grado di sicurezza e di competenza raggiunto, è punto di partenza per ulteriori approfondimenti, è occasione per affrontare insieme al docente i passaggi e le difficoltà tecniche più ostici. Il docente è inoltre costantemente presente al fianco dell’alunno. Le attività nella lezione collettiva prevedono invece situazioni di apprendimento più simili a quelle che caratterizzano le dinamiche tra insegnante e allievi in una classe (spiegazioni, esercizi, momenti di verifica), anche se il numero esiguo di alunni, ciascuno dei quali conosciuto in un contesto più “personalizzato”, permette anche qui una relazione didattica un po’ più elastica e “anticonvenzionale” (le lezioni si svolgono con alunni e docente tutti intorno a un tavolo…) e soprattutto orientata all’operatività e al controllo immediato dei processi di apprendimento specifici (in particolar modo la lettura ritmico-musicale).

 

 

Il Flauto Traverso

Sarà per quella posizione "di traverso; sarà per la brillante carica virtuosistica; sarà perché il flautista, mentre suona, riesce a guardare il pubblico negli occhi, come se parlasse "vis a vis"; sarà quel che sarà ma il Flauto Traverso ha superato in fascino e popolarità qualunque altro strumento a fiato. I virtuosi noti anche a livello popolare sono o i violinisti oppure flautisti, albatri con braccio argentino che irradiano pioggie di note felpate.

  

 

LA MUSICA

La musica, componente fondamentale e universale dell’esperienza umana, offre uno spazio simbolico e relazionale propizio all’attivazione di processi di cooperazione e socializzazione, all’acquisizione di strumenti di conoscenza, alla valorizzazione della creatività e della partecipazione, allo sviluppo del senso di appartenenza a una comunità, nonché all’interazione fra culture diverse. 

L’apprendimento della musica consiste di pratiche e di conoscenze, e nella scuola si articola su due dimensioni:

a) produzione, mediante l’azione diretta (esplorativa, compositiva, esecutiva) con i suoi materiali sonori, in particolare attraverso l’attività corale e di musica d’insieme; 

b) fruizione consapevole, che implica la costruzione e l’elaborazione di significati personali, sociali e culturali, relativamente a fatti, eventi, opere del presente e del passato.

Il canto, la pratica degli strumenti musicali, la produzione creativa, l’ascolto, la comprensione e la riflessione critica favoriscono lo sviluppo della musicalità che è in ciascuno; 

promuovono l’integrazione delle componenti percettivo-motorie, cognitive e affettivo-sociali della personalità;

contribuiscono al benessere psicofisico in una prospettiva di prevenzione del disagio, dando risposta a bisogni, desideri, domande, caratteristiche delle diverse fasce d’età.

L’apprendimento della musica esplica specifiche funzioni formative, tra loro interdipendenti. 

Mediante la funzione cognitivo-culturale, gli alunni esercitano la capacità di rappresentazione simbolica della realtà, sviluppano un pensiero flessibile, intuitivo, creativo e partecipano al patrimonio di diverse culture musicali; utilizzano le competenze specifiche della disciplina per cogliere significati, mentalità, modi di vita e valori della comunità a cui fanno riferimento. 

Mediante la funzione linguistico-comunicativa la musica educa gli alunni all’espressione e alla comunicazione attraverso gli strumenti e le tecniche specifiche del proprio linguaggio.

Mediante la funzione emotivo-affettiva, gli alunni, nel rapporto con l’opera d’arte, sviluppano la riflessione sulla formalizzazione simbolica delle emozioni. Mediante la funzione identitaria e interculturale la musica induce gli alunni a prendere coscienza della loro appartenenza a una tradizione culturale e nel contempo fornisce loro gli strumenti per la conoscenza, il confronto e il rispetto di altre tradizioni culturali e religiose. Mediante la funzione relazionale essa instaura relazioni interpersonali e di gruppo, fondate su pratiche compartecipate e sull’ascolto condiviso. Mediante la funzione critico-estetica essa sviluppa negli alunni una sensibilità artistica basata sull’interpretazione sia di messaggi sonori sia di opere d’arte, eleva la loro autonomia di giudizio e il livello di fruizione estetica del patrimonio culturale.

In quanto mezzo di espressione e di comunicazione, la musica interagisce costantemente con le altre arti ed è aperta agli scambi e alle interazioni con i vari ambiti del sapere. 

Studiare musica stimola il cervello dei bambini

I piccoli che suonano regolarmente uno strumento, secondo uno studio americano, risultano mentalmente più flessibili


Roma, 24 giugno 

(AdnKronos Salute)

I bambini che suonano regolarmente uno strumento musicale hanno maggiori opportunità di sviluppare le loro capacità mentali: la pratica costante sin da piccolissimi, infatti, potenzia le funzioni esecutive del cervello, quelle che li rendono in grado di adattarsi a situazioni nuove e complesse, come indica uno studio realizzato dai team dei neuroscienziati della Harvard University e dell’Ospedale Pediatrico di Boston. I piccoli musicisti, secondo gli scienziati, risultano mentalmente più flessibili: hanno una maggiore tendenza a fare scelte tra più opzioni invece che attenersi alla scelta consueta nelle funzioni pratiche. Un dato che era già stato evidenziato in studi precedenti che però non avevano chiarito se questa caratteristica fosse legata all’estrazione sociale, quasi sempre più elevata dei giovani musicisti, o alla pratica delle sette note. In questo caso, invece, valutando i bambini anche attraverso test psicometrici, considerando il quoziente intellettivo e l’ambiente socioeconomico di provenienza, è stato dimostrato che la maggiore flessibilità mentale rimane nei bimbi che studiano musica.  

Inoltre i ricercatori, utilizzando la risonanza magnetica funzionale, hanno evidenziato una maggiore attività delle aree prefrontali del cervello implicate nelle funzioni esecutive. Queste ultime sono molto complesse e numerose ma secondo lo studio, la musica ne migliora due in particolare: la flessibilità mentale e la capacità di aggiornare la memoria di lavoro con nuove informazioni  

SUONARE UNO STRUMENTO MUSICALE FA BENE AL CERVELLO

 

Imparare a suonare uno strumento può rallentare o addirittura fermare il declino mentale dovuto all'invecchiamento. La buona notizia è che per godere di questi benefici non è necessario essere per forza un virtuoso del violino o un professionista del pianoforte, perché gli effetti positivi sono stati riscontrati tanto nei musicisti professionisti che in quelli amatoriali. Queste le conclusioni di uno studio condotto dalla dottoressa Ines Jentzsch per l'università di St. Andrews, in Gran Bretagna, che ha testato le abilità cognitive di musicisti e non musicisti.

Lo studio, pubblicato sulla rivista di settore Neuropsychologia, ha dimostrato che chi suona uno strumento ha maggiore capacità di identificare e correggere gli errori. Questo accade grazie a quanto appreso durante le esibizioni musicali: quando suonano un brano davanti ad un pubblico, o anche solo per se stessi, i musicisti devono dimostrare di avere una consapevolezza estrema delle proprie azioni. Devono costantemente tenere sotto controllo quello che fanno tramite il feedback del pubblico e riuscire a correggere rapidamente i loro movimenti, per prevenire possibili errori.

Non si tratta di una novità assoluta. Già studi precedenti, infatti, avevano dimostrato i benefici psicologici e mentali derivanti dall'apprendere a suonare uno strumento, mentre numerose ricerche avevano messo in luce come i musicisti avessero tempi di reazione più rapidi della media e una maggiore capacità di “bloccare informazioni irrilevanti”, vale a dire di mantenere la concentrazione. Quello della dottoressa Jentzsch, però, è il primo studio che concentra la sua attenzione su musicisti non professionisti e che dimostra come anche livelli moderati di attività musicale facciano bene alle attività cognitive. Naturalmente a più intensi livelli di pratica di uno strumento – si legge nello studio - possono corrispondere maggiori capacità di elaborare le informazioni in generale (indicate da una maggiore velocità nel portare a termine dei compiti senza che questo vada a discapito dell'accuratezza).

Trova anche conferma, come riportato da precedenti ricerche, il legame concreto fra l'agilità mentale e l'abilità musicale. Insomma, a quanto pare anche i piccoli sforzi fatti sui banchi delle scuole potrebbero salvarci dal declino mentale della senilità. 

 SUONARE UNO STRUMENTO MUSICALE CI SONO EFFETTI POSITIVI SUL CERVELLO


Per guarire dall'asma suona il Flauto Traverso

Suonare strumenti a fiato fa bene per l’asma


I risultati di alcuni studi condotti tempo fa in Germania presso l’Università di Heidelberg sembrano indicare che il suonare strumenti a fiato migliora le condizioni, sia fisiche che mentali, di bambini e ragazzi che soffrono di asma.

Il direttore delle ricerche, Dr. Michael Krater, osserva: “ Numerosi genitori temono che suonare strumenti a fiato sia faticoso per le vie respiratorie e possa peggiorare l’asma, ma una serie di studi dimostra il contrario.”

L’effetto positivo si ottiene con tutti gli strumenti a fiato, dal flauto traverso all’armonica a bocca, alla tromba, ma l’effetto più rimarcato si ottiene suonando tonalità alte come il Flauto Traverso. Suonare questi strumenti contrasta, come osservato dai ricercatori, l’esacerbazione dell’asma, ed il didgeridoo (strumento degli indigeni australiani) dimostrerebbe anche efficacia contro l’apnea respiratoria.

La Società di Pneumologia tedesca raccomanda pertanto di insegnare a suonare strumenti a fiato ai giovani asmatici. Quanto alle cause che produrrebbero questi effetti, i ricercatori sono abbastanza vaghi: parlano in generale di “un rinforzamento della muscolatura delle labbra e dei muscoli della respirazione”.

Ovviamente i ricercatori non hanno “ricercato” i cambiamenti nel modo di respirare che si verificano mentre si suonano questi strumenti. A quanto ricordo dalla mia esperienza nel suonare il flauto (e nelle scuole elementari tedesche che avevo frequentato era obbligatorio imparare a suonare il flauto), si cercava di far durare il fiato a lungo, e nel complesso la quantità di aria che si inspirava-espirava in un minuto diminuiva.

A mio avviso quindi è proprio questo “respirare di meno” il fattore che potrebbe provocare l’effetto favorevole constatato negli studi tedeschi.

Il Flauto Traverso e BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva)

Il Flauto fa bene ai Polmoni

– Iniziamo con una notizia “musicale”: uno dei siti americani che riportano notizie ed aggiornamenti nel campo della medicina convenzionale (www.ivanhoe.com/channels/p_channelstory.cfm?storyid=30532 ) apre l’anno con questo titolo : “Musical Medicine: A Flute for COPD” (medicina musicale, un flauto per la BPCO). Nell’articolo si riferisce sui benefici ottenibili suonando un “flauto per i polmoni” che, come osserva il dr. Sethi, capo del reparto polmonare dell’Università di Buffalo, “aiuta a liberare le vie respiratorie dal muco”, poiché “quando i pazienti soffiano nel flauto, le onde sonore che attraversano le vie respiratorie mobilitano il muco, e gli studi dimostrano che, usando il flauto due volte al giorno si ottiene un miglioramento della congestione polmonare e di altri sintomi della BPCO”. Sull’argomento vorrei brevemente ribadire quanto avevo scritto nel mio Notiziario del marzo 2012, (ved. www.prosalutaris.com/ultimonotiziario.html ) e cioè: “I risultati di alcuni studi condotti tempo fa in Germania presso l’Università di Heidelberg sembrano indicare che il suonare strumenti a fiato migliora le condizioni, sia fisiche che mentali, di bambini e ragazzi che soffrono di asma. Il direttore delle ricerche, Dr. Michael Krater, osserva :” Numerosi genitori temono che suonare strumenti a fiato sia faticoso per le vie respiratorie e possa peggiorare l’asma, ma una serie di studi dimostra il contrario.” L’effetto positivo si ottiene con tutti gli strumenti a fiato….ma l’effetto più rimarcato si ottiene suonando tonalità alte… La Società di Pneumologia tedesca raccomanda pertanto di insegnare a suonare strumenti a fiato ai giovani asmatici. Quanto alle cause che produrrebbero questi effetti, i ricercatori sono abbastanza vaghi: parlano in generale di “un rinforzamento della muscolatura delle labbra e dei muscoli della respirazione”. Ovviamente i ricercatori non hanno “ricercato” i cambiamenti nel modo di respirare che si verificano mentre si suonano questi strumenti.” In realtà, se il flauto viene suonato bene , si cerca di far durare il fiato a lungo, e (purché gli insegnanti facciano attenzione a che i bambini tra una frase musicale e l’altra non facciano una grossa, affannosa inspirazione) nel complesso la quantità di aria inspirata-espirata in un minuto diminuisce. Potrebbe quindi essere proprio questo “respirare di meno” il fattore che provoca l’effetto favorevole constatato negli studi tedeschi.

La musica fa bene al cervello dei dislessici

Il linguaggio musicale abbatte le barriere dell'isolamento

 

C’è una pugliese a Milano, definita da Quirino Principe « shenkeriana di rango » che lavora sulla musica come strumento di aiuto medico ai bambini. E’ Matilde Bufano che da anni approfondisce lo studio della musica rapportata ai bambini dislessici.

Cos’è la dislessia? Dal greco dys=scarso, lexia=linguaggio, comprende ”disturbi specifici di apprendimento” nei bambini e ragazzi dai 6 ai 15 anni. I dislessici sono spesso « determinati, geniali, fantasiosi e creativi ed hanno una immaginazione fertile » ,con un quoziente di intelligenza superiore alla media. Grandi come Albert Einstein e Leonardo Da Vinci erano dislessici.

Ricerche scientifiche hanno dimostrato come la musica migliori le capacità di apprendimento del bambino nell’approccio alle materie scolastiche, oltre che nello studio dello strumento musicale.

Ed è provato l’influsso benefico dello studio della musica sul cervello dei dislessici. Fare o comporre musica aiuta il cervello, permettendogli di essere più elastico, reattivo, efficiente. Il linguaggio della musica offre un modo di comunicare che può abbattere le barriere dell’isolamento . Matilde Bufano, instancabile e appassionata, è impegnata per diffondere e far conoscere i metodi e le ricerche per le quali l’Inghilterra e gli Stati Uniti sono all’avanguardia.

Il Conservatorio “G. Verdi” di Milano ha attivato in questi giorni, primo ed unico in Italia, un Master in “Didattica musicale, neuroscienza e dislessia”, su come insegnare musica ai bambini dislessici, rivolto a diplomati nei Conservatori, laureati ed insegnanti. Un progetto pilota apprezzato e approvato anche dal dottor Enrico Profumo, Direttore dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza - Ospedale San Paolo di Milano.

Promotrice e docente del Master la prof.ssa Matilde Bufano insieme ad altri docenti e, per il settore delle neuroscienze, al dr. Livio Bressan neurologo primario ospedaliero e musicista, diplomato in chitarra e composizione.

Il corso, della durata di un anno accademico, avrà cadenza settimanale con lezioni tenute nei week end (venerdì e sabato) 

Pioniera degli studi su “Musica e dislessia” in Italia la prof. Matilde Bufano ha tradotto e curato, per Rugginenti editore il testo di riferimento di Sheila Oglethorpe “Dislessia e strumento musicale” e ha scritto “Dislessia e musica” edito per Bruno Mondadori.

PER INFORMAZIONI: 

http://www.consmilano.it/fileadmin/storage/didattica/Master/Presentazione_corretta_2013-2014_Master_Didattica_Musicale_Neuroscienze_e_Dislessia.pdf


La musica aiuta il bimbo dislessico. Lo racconta uno studio italiano

 

Non solo diverte, rilassa, stimola la creatività, la musica può aiutare ad affrontare con successo un disturbo come la dislessia. Iscrivere il proprio figlio a un corso di canto o lo studio di uno strumento può aiutarlo.


Un corso di introduzione al canto, i primi tentativi alla tastiera del piano o sulle corde della chitarra: sono tanti i bambini che, fin dalla scuola per l’infanzia, si avvicinano al mondo delle note. Sempre più genitori desiderano offrire ai loro figli quella marcia in più nella vita indifferentemente se sviluppino doti canore o che imparino ad apprezzare la bellezza di ritmi e melodie. Ma oggi c’è una notizia in più a favore dell’importanza della musica: sembra che sia addirittura in grado di aiutare nel trattamento di un disturbo sempre più diffuso, la dislessia. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori italiani, dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca e del CNR.


I musicisti hanno un cervello più allenato

Si sapeva già che le aree del cervello deputate all’esecuzione di un brano musicale sono più sviluppate e sono caratterizzate da un più alto numero di cellule nervose. Adesso, i ricercatori italiani hanno appurato che i musicisti per leggere un testo, al contrario delle altre persone, utilizzano le stesse aree abitualmente coinvolte per leggere un pentagramma. Lo hanno scoperto Alice Mado Proverbio, Mirella Manfredi e Roberta Adorni dell’Università Milano-Bicocca e Alberto Zani dell’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia molecolare del CNR di Milano, in uno studio pubblicato su Neuropsychologia. Tutto questo potrebbe offrire facilitazioni nello studio delle terapia contro la dislessia. I ricercatori hanno ricostruito, attraverso un esame specifico: tomografia elettromagnetica a bassa risoluzione, il segnale bioelettrico emesso dal cervello di un gruppo di quindici musicisti. Durante l’elaborazione delle note e della lettura i quindici musicisti professionisti e altrettante persone di uguale scolarizzazione ed età, sono stati studiati e comparati i segnali bioelettrici. È emerso che, nel leggere le note e le parole, i musicisti attivavano delle aree cerebrali diverse da quelle osservate nelle persone senza conoscenze musicali. I ricercatori hanno spiegato che quando leggono un testo musicale le persone prive di conoscenza specifica attivavano la corteccia occipito-temporale di sinistra e il giro occipitale inferiore di sinistra. Nei musicisti, invece, queste stesse regioni sono risultate attive sia sull’emisfero sinistro, come nei non musicisti, sia sull’emisfero destro.


Un aiuto per la dislessia?

La scoperta potrebbe aiutare i bambini dislessici in cui la regione cerebrale normalmente reclutata per l’analisi visiva delle parole si attiva in modo atipico o insufficiente. La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, DSA, di origine neurobiologica, caratterizzato da difficoltà a effettuare una lettura rapida e accurata. Tale difficoltà non è in rapporto alle altre abilità cognitive: nei bimbi dislessici infatti l’intelligenza è integra. La difficoltà non è spiegabile con una inadeguata istruzione scolastica, né dalla presenza di deficit visivi o di tipo neurologico. La dislessia riguarda il 4% della popolazione generale, con una lieve preferenza per il sesso maschile. È più frequente nei bambini che hanno avuto un disturbo del linguaggio ed è più frequente tra i membri di una famiglia in cui un componente mostra il disturbo. La dislessia non può essere definita malattia, ma una condizione costituzionale, che può compromettere gravemente il percorso scolastico, oltre che lo sviluppo emotivo e l’autostima di un bambino. La diagnosi e il trattamento precoce, oltre che la messa in atto delle misure e degli strumenti compensativi necessari, consentono un adattamento alle richieste

scolastiche che può ridurre notevolmente l’impatto del disturbo. La diagnosi e il trattamento della dislessia avviene nell’ambito delle Unità Operative di Neuropsichiatria Infantile, strutture presenti in tutte le Aziende Sanitarie. La principale fonte di sostegno alle famiglie e ai dislessici è rappresentata dall’Associazione Italiana Dislessia, la struttura riunisce genitori, dislessici adulti, neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti ed insegnanti, ovvero tutte le figure che sono direttamente implicate nella presa in carico delle problematiche della dislessia.


Sahalima Giovannini

STUDIO AMERICANO: LA MUSICA CHE FA BENE AL CERVELLO


Sandra Ianculescu –

L’orecchio svolge un ruolo chiave nella ricarica elettrica del cervello, secondo il parere del dottor Alfred Tomatis, membro dell’Accademia di Medicina e dell’Accademia delle Scienze in Francia.  


Quando il potenziale elettrico delle cellule cerebrali comincia a declinare, dice Tomatis, a volte ci sentiamo annoiate e stanche. Come le batterie, le cellule del cervello devono essere ricaricate.


Tomatis ha scoperto che un modo per risolvere questo problema è quello di ascoltare suoni ad alta frequenza, tra 5000 e 8000 Herz. Lui afferma, inoltre, che le vibrazioni delle cellule Corti, che coordinano la coclea del fluido dell’orecchio, si comportano come un generatore.


Dopo anni di analisi, Tomatis ha concluso che la musica di Mozart contiene il maggior numero di suoni di questo tipo, mentre la musica rock il più piccolo. Lui consiglia anche di ricaricare il cervello con musica barocca e gregoriana.


Le scoperte del dottor Lozanov nel campo della psicologia, del dottor Tomatis e Novacovici sono utili per tutte le età; sia per noi ragazze che per i nostri fidanzati, mariti o amici.


Il potere speciale dei suoni


I suoni hanno un potere speciale nello sviluppo del cervello dei bambini, prima e dopo la nascita. Le teorie dei medici Lozanov, Novacovici e Tomatis hanno facilitato la comparsa di certi interventi semplici, ma molto efficaci.


Ad esempio, oggi e generalmente accettato che i feti, i bambini non ancora nati, sentano tanto di quello che sta accadendo intorno a loro nella stanza, comprese le discussioni. Tuttavia, i suoni ad alta frequenza sono filtrati dalla pelle e dalla parete uterina. Solo questi suoni, che Tomatis dice che ricarichino il cervello, sono quelli che portano maggiori informazioni.


Mozart aumenta l’IQ (quoziente intellettivo)


Sorpresa! I ricercatori del Centro di Neurobiologia dell’Apprendimento e della Memoria in California, Irvine hanno testato l’IQ di 36 studenti, con un test che misurava la capacità del cervello destro.


Dopo la prova, gli studenti hanno ascoltato 10 minuti di Sonata per 2 pianoforti in Fa maggiore, di Mozart. Subito dopo, sono stati riesaminati e hanno ottenuto un punteggio di 8 o 9 punti in più rispetto al primo. Quest’IQ e diminuito dopo 15 minuti.


I ricercatori hanno suggerito che l’ascolto giornaliero di un certo tipo di musica benefica aumenta l’IQ e lo mantiene più a lungo.


Ma perchè ciò avviene? Gordon Shaw ha detto che in questo modo vengono stimolate le aree del cervello coinvolte nel pensiero razionale e altri compiti non musicali.

Tuo figlio suona uno strumento? Invecchierà meglio

Musica per le nostre orecchie.


Uno studio pubblicato sul The Journal of Neuroscience dimostra finalmente che far suonare uno strumento musicale ai nostri bimbi non solo modifica la struttura anatomica del loro cervello: pare che tali modificazioni permangano anche in età adulta, e che siano responsabili di un certo ritardo nel (normale) decadimento cognitivo dovuto all'età.


L'invecchiamento determina un pervasivo declino del funzionamento cognitivo: tra questi, a livello uditivo vi è un progressivo ritardo nella decodifica di elementi linguistici che cambiano rapidamente. Tutto ciò determina nelle persone anziane una certa difficoltà a comprendere il linguaggio, cosa che fa innervosire parecchio figli e nipoti.


Ma secondo Travis White-Schwoch e colleghi della Northwestern University (Evanston, Illinois) questo declino delle capacità uditive non è inevitabile, anzi. Tra i soggetti anziani che da piccoli hanno suonato uno strumento musicale questo delay neurologico pare non ci sia. E quel che ci colpisce davvero è che i soggetti anziani di questo studio non suonano uno strumento da oltre 40 anni! Sembra quindi che un training musicale, seppur limitato ai primi anni di vita (tra i 4 e i 14 anni) dell'essere umano, scongiuri il deterioramento delle abilità di riconoscimento acustico dovuto all'età.


In questo studio, gli Autori hanno esaminato 44 adulti, dividendoli in due sottogruppi. Da una parte i "musicisti", ovvero soggetti che da bimbi (età media 9 anni) hanno suonato per brevi periodi uno strumento musicale, e dall'altra i restanti "non-musicisti", ossia persone che per tutta la vita non hanno mai suonato nulla.


A entrambi i sottogruppi è stato sottoposto lo stesso task: ascoltare gruppi di sillabe sintetizzate elettronicamente, mentre i ricercatori misuravano loro l'attività del tronco cerebrale. Che, nel caso dei "musicisti", reagiva molto più velocemente agli stimoli presentati, circa un millisecondo in meno, rispetto ai "non-musicisti".


Se un millisecondo vi sembra poco, pensate che questo è un effetto cumulativo: nella vita di una persona anziana un ritardo di 1 millisecondo moltiplicato per milioni di neuroni fa la differenza in termini di quality of life.


Il team della Northwestern University ha scoperto che i cervelli più rapidi nella decodifica linguistica hanno trascorso più tempo alle prese con lo strumento musicale durante la vita. Come a dire: più suoni da bambino più rapido e lucido sarai da grande.

Musica e risposta neurale


Che la musica, ascoltata, prodotta o riprodotta, eseguita singolarmente o in gruppo, sia una delle risorse dai molteplici effetti benefici per l’individuo, è credenza generalmente accettata e condivisa. Una sorta di verità intuitiva, radicata ed universale. Che la scienza, e specificamente, la neurobiologia se ne occupi e, attraverso rigorosi studi, ne dia conferma, è, per certi versi, rassicurante in quanto dà spessore e concretezza a quello che da secoli abbiamo sempre inconsapevolmente percepito. La musica arricchisce, riempie, dà nutrimento e significato alle nostre esperienze di vita, ci accompagna e fa da sfondo o da amplificazione alle nostre emozioni e ai nostri sentimenti. Quasi tutti noi lo sappiamo, perché l’abbiamo verificato soggettivamente. Ora, tuttavia, veniamo a conoscenza di qualcosa di molto più specifico e, soprattutto, supportato da dati scientifici e da ricerche rigorose.


Uno studio recente, i cui risultati sono apparsi in un articolo del Journal of Neuroscience del 3 Settembre 2014 a cura di N. Kraus, J. Slater, E. C. Thompson, J. Hornickel, D. L. Strait, Trent Nicol e Travis White_Schwoch, afferma che un training musicale protratto per un periodo di tempo almeno biennale migliora la funzione del sistema nervoso, poiché focalizza l’attenzione su stimoli acustici significativi, e ha una ricaduta positiva sulle abilità sia cognitive, che linguistico-comunicative.


La scoperta ha avuto grande risonanza negli Stati Uniti al punto che gli educatori e gli esperti in campo pedagogico e didattico hanno iniziato a considerare l’inserimento di programmi di musica come disciplina co-curricolare al fine di potenziare la risposta neurale e l’apprendimento a livello cognitivo e comunicativo in bambini durante l’età dello sviluppo.


Un progetto sperimentale-pilota già effettuato è consistito nell’individuare bambini che provengono da condizioni economiche e sociali disagiate e con  notevoli difficoltà di apprendimento e nel fornire loro, gratuitamente, un training musicale continuo e sistematico per almeno due anni. Tale training ha previsto sia l’apprendimento di strumenti musicali, da suonare in band, sia di abilità vocali da esercitare in coro. Test standardizzati sono stati somministrati prima dell’avvio del progetto, dopo il primo anno e al termine del secondo anno di addestramento e hanno evidenziato un netto potenziamento nella risposta neurale a stimoli uditivi oltre a un miglioramento nelle abilità cognitive, linguistiche e comunicative, con notevole vantaggio nel campo dei risultati scolastici. Quello che il progetto sperimentale ha messo in risalto è stato che risultati effettivamente positivi si sono avuti dopo almeno due anni di training continuo e sistematico, mentre un solo anno di addestramento si è rivelato insufficiente a fornire concreti risultati in merito.


L’associazione tra capacità musicali apprese e funzionamento cognitivo, d’altro canto, era già stata indicata in una precedente ricerca dell’Agosto 2011, della quale il British Journal of Psychology riporta i risultati. Tale studio aveva visto coinvolti bambini dai 9 ai 12 anni, metà dei quali addestrati alla musica e l’altra metà senza alcuna istruzione o training in tal senso, che erano stati sottoposti a test sul QI e su alcune funzioni esecutive.


Secondo lo studio, il gruppo musicale aveva riportato un più alto livello nei test del QI rispetto al gruppo di controllo, non addestrato musicalmente, anche se era stata evidenziata una trascurabile correlazione tra addestramento musicale e funzione esecutiva. Possiamo, quindi, ipotizzare che vi siano altri circuiti coinvolti nell’apprendimento di abilità cognitive e nel potenziamento musicale?


E cosa succede a tali bambini diventati adulti, e finanche anziani, per quanto riguarda il loro funzionamento cognitivo e la rispettativa risposta neurale?


Uno studio recente, del 6 Novembre 2013, riportato dal Journal of Neuroscience, afferma che un moderato addestramento musicale dai 4 ai 14 anni è associato a una più rapida risposta neurale sia nell’aspetto uditivo che in quello cognitivo e linguistico, e continua a produrre i suoi benefici effetti anche in età adulta. Tale scoperta ha portato gli stessi ricercatori ad affermare che il declino nelle funzioni del sistema nervoso, specificamente in quello uditivo, e che consisterebbe in una risposta rallentata ad elementi verbali rapidamente mutevoli, non è inevitabile. Adulti, anche anziani, con alle spalle una vita di training musicale, non sembrano, in grande percentuale, manifestare ritardi in questa sfera, anche nel caso che abbiano interrotto per diversi anni la pratica musicale stessa.


In conclusione, anche l’APA (American Psychological Association) ha pubblicato un articolo di Amy Novotney, nel novembre 2013, che è intitolato “Music as medicine”, sulla correlazione tra musica, risposta immunitaria e riduzione dello stress prima di delicati interventi medico-chirurgici, e trattamento della sintomatologia del morbo di Parkinson, della fibromialgia e della depressione. In particolare, il PhD e Professore di musica all’Università di Toronto Lee Bartel sta esplorando su una eventuale connessione tra le vibrazioni sonore, assorbite attraverso il corpo, e una riduzione dei sintomi del morbo di Parkinson, della fibromialgia e della depressione. Precedentemente, già nel 2009, ricercatori condotti da L. K. King del Sun Life Financial Movement Disorders Research and Rehabilitation Centre alla Wilfrid Laurier University a Waterloo, Ontario, avevano scoperto che l’uso a breve termine della terapia vibro-acustica con pazienti parkinsoniani aveva portato al miglioramento dei sintomi, inclusi minor rigidità e ridotti tremori. Un altro PHD e psicologo all’Università Mc Gill a Montreal, Daniel J. Levitin, nell’Aprile del 2013, inoltre, in una meta-analisi di 400 studi, aveva trovato una correlazione tra la musica e il potenziamento del sistema immunitario e la riduzione dello stress prima di interventi medico-sanitari. Il ricercatore, coadiuvato dal PhD Mona Lisa Chanda, aveva scoperto che ascoltare e suonare aumentano la produzione di immunoglobuline anticorpali A e cellule Killer, quelle che attaccano i virus e potenziano l’efficacia del sistema immunitario. A queste positive risposte, sembrava aggiungersi anche la riduzione dei livelli di cortisolo, ormone dello stress.


Tutte le ricerche qui citate sembrano proprio andare nella direzione della ricaduta positiva della musica su sfere cognitive e comunicative diverse. Tuttavia, non troverei scientificamente corretta questa presentazione se non citassi anche uno studio che tende, forse, ad andare in un’altra direzione. Mi riferisco alla ricerca, del Novembre 2012, diffusa dall’APA in Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts, secondo la quale gli adolescenti coinvolti in attività artistiche, quali la musica, il teatro e la pittura, presenterebbero maggiori probabilità di risultare affetti da sintomi depressivi rispetto agli studenti che non sono coinvolti in tali programmi.  Il progetto di ricerca ha visto la partecipazione di 2.482 studenti dai 15 ai 16 anni di cui 1.238 erano ragazze, 27% neri, 19% Ispanici e 54% bianchi non-Ispanici.


La spiegazione che viene data dagli autori che hanno condotto la ricerca è che le persone attirate verso le arti potrebbero avere determinati tratti cognitivi, quale, per esempio, quello di essere in grado di assimilare un livello di informazione più elevato da parte del contesto circostante, caratteristica che li porterebbe a doversi confrontare con stimoli eccessivi e con un conseguente overload cognitivo ed emotivo difficile da gestire. Tale spiegazione è solo un’ipotesi e, a mio parere, anche molto parziale. Primo, perché non spiega se è la maggiore consapevolezza di soffrire di stati depressivi che conduce a un tentativo auto-curativo ricercato nell’ambito artistico, o se sono le attività artistiche che amplificano la tendenza agli stati depressivi. Secondariamente, perché gli autori non differenziano tra depressione e tristezza, quasi che entrambi i concetti fossero sinonimi e, perciò, intercambiabili. In terzo luogo, il target di adolescenti tra i 15 e i 16 anni non può essere generalizzato a tutte le età dello sviluppo.


In conclusione, a fronte di così importanti ricerche, dai risultati non sempre convergenti, ritengo opportuno proporre alcune riflessioni che possano avere una loro “spendibilità” anche sul piano pratico.


Le considerazioni che traggono ispirazione da queste ricerche, di chiara impronta anglosassone, riguardano anche il sistema scolastico italiano, dal quale la musica sembra essere la grande esclusa. Nella scuola elementare e nella scuola media, essa è infatti affidata a pochi insegnanti che ne capiscono la reale efficacia nel potenziare la motivazione degli alunni, con tutto il suo correlato cognitivo, emotivo e comunicativo. Docenti lodevoli quanto più che rari, i quali, altrettanto raramente, vedono riconosciuta la loro opera pedagogica e didattica; in molti casi, invece, possono essere addirittura tacciati di scarsa professionalità. Nelle scuole superiori e nelle Università italiane, poi, la musica semplicemente scompare e viene relegata nei Conservatori, nei quali, talvolta, si perde il senso e il ruolo che essa possiede a livello di crescita complessiva dell’individuo. L’attenzione sembra piuttosto spostarsi sull’acquisizione di nozioni teoriche e tecniche. Certo, la musica presuppone una struttura rigorosa ed un impegno costante, ma se solo a questi aspetti essa viene ricondotta, diventa essa stessa sterile riproduzione, per lo più eseguita individualmente.


Quello che, al contrario, gli studi su citati sembrano mettere in evidenza è l’acquisizione di competenze musicali in gruppo, sia esso strumentale o vocale, per un periodo di tempo piuttosto lungo (almeno due anni) e con incontri sistematici e regolari, insieme al senso di cooperazione versus competizione. Insomma, passione che diventa esperienza condivisa. Se si trattasse solo ed unicamente di produrre un risultato esteticamente ed artisticamente bello e in totale isolamento, non credo che gli effetti sarebbero quelli che le ricerche evidenziano. La musica può essere di certo curativa e spesso anche terapeutica ma i suoi effetti sono, a mio parere, potenziati almeno da tre variabili: la costruzione della motivazione, altrimenti detta passione o entusiasmo, l’incremento del senso di agency personale legata alla capacità di poter creare, la condivisione con il gruppo correlata al senso di appartenenza e alla relazione tra pari.


BIBLIOGRAFIA


Music enrichment Programs improve the Neural Encoding of Speech in at-risk Children. N. Kraus, J. Slater, E. C. Thompson, J. Hornickel, D. L. Strait, T. Nicol, T. White-Scwoch. The Journal of Neuroscience, 3 Sept. 2014, 34 (36); 11913-11918; doi 10.1523/Jneurosci. 1881-14-2014.

Music as Medicine. APA.( American Psychological Association) A. Novotney, Nov. 2013, Vol. 44, No. 10.

Teens involved in Arts Activities report more depressive symptons than teens not involved in the Arts, research finds. APA, Psychology of Aesthetics, Creativity, and the Arts. November, 2012. From : Heightened Incidence of Depressive Symptons in Adolescents involved in the Arts, L. N. Young, MA; E. Winner, PHD, S. Cordes, PHD; Boston College; Psychology of Aesthetics, Creativity, and the Arts, vol. 7, No. 2.

Examining the Association between Music Lessons and Intelligence. E. Glenn Schellenberg. Articolo, 1 Fe. 2011. British Journal of Psychology, Vol. 102, issue 3, pp. 283-30


Suonate uno strumento musicale da piccoli Da adulti saprete controllare le vostre emozioni


Studio condotto da James Hudziak, docente di psichiatria negli Usa: “Durante la crescita si modifica lo spessore della corteccia cerebrale. La pratica musicale influenza tale spessore nelle aree legate alla memoria di lavoro e all’organizzazione mentale


I bambini che familiarizzano con uno strumento musicale fin da piccolissimi sembrano ottenere dei benefici che vanno ben oltre il fatto di saper suonare Mozart, Beethoven o Bach. A dimostrarlo è una recente ricerca statunitense apparsa sulla rivista Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, secondo cui suonare uno strumento musicale fin dalla tenera età favorirebbe un miglior controllo delle emozioni e una migliore capacità di attenzione, abbattendo la tendenza a soffrire di disturbi d’ansia.  Lo studio – considerato la più vasta indagine relativa all’associazione tra sviluppo cerebrale e interesse alla musica nei bambini – è stato condotto da James Hudziak, docente di psichiatria dell’Università del Vermont, che ha preso in esame le risonanze magnetiche di 232 ragazzi di età compresa tra i 6 e i 18 anni, analizzando lo sviluppo cerebrale nel tempo. In base alle ricerche effettuate dallo stesso Hudziak e dal suo team, infatti, durante la crescita la corteccia cerebrale dei bambini andrebbe incontro a una modifica del suo spessore e il suo assottigliamento in determinate aree cerebrali sarebbe da ricollegare direttamente ai disturbi d’ansia, dell’attenzione e ai comportamenti aggressivi negli adolescenti.  Dalla ricerca attuale è emerso che la musica avrebbe il potere di alterare lo sviluppo delle aree motorie cerebrali, probabilmente per via dei movimenti coordinati che richiede il fatto di saper suonare uno strumento. Ancor più importante, la pratica musicale influenzerebbe lo spessore della corteccia nelle aree legate alla memoria di lavoro e all’organizzazione mentale, con un importante influenza sul controllo e la gestione delle emozioni. “Tali statistiche – spiegano i ricercatori – sottolineano l’importanza vitale di trovare nuovi modi innovativi per rendere la formazione musicale più ampiamente disponibile ai giovani, a partire dalla prima infanzia”.  

Già da tempo le ricerche scientifiche hanno mostrato i numerosi benefici della pratica musicale sin dalla tenera età: uno studio della Harvard University ha mostrato che avere a che fare con le note potenzia le capacità mentali dei bambini, rendendo il loro cervello più “flessibile”, mentre una ricerca sull’autorevole Journal of Neuro Science ha fatto vedere come praticare musica da giovani garantisce un cervello più svelto e reattivo da anziani.  

STEFANO MASSARELLI


" Per un genitore è importante capire che suo figlio più ancora che un ingegnere o un medico, deve saper diventare un uomo. Questa costruzione comincia sin dall'inizio, stimolando nei piccoli la curiosità, l'interesse, il ragionamento, l'immaginazione. Non bisogna quindi confondere il bersaglio: non si tratta di insegnare al bambino delle cose, ma insegnare a imparare attraverso le cose.

Per questo motivo tutti coloro che si occupano di insegnamento dovrebbero ricordare continuamente l'antico motto latino «ludendo docere», cioè «insegnare divertendo".

( Piero Angela )

Crescere in età di Grazia e Sapienza 


“...ed un maestro disse:- parlaci dell’Insegnamento - e lui disse: nessuno può insegnarvi nulla se non ciò che già sonnecchia nell’albeggiare della vostra conoscenza. Il maestro che cammina all’ombra del tempio tra

i discepoli non elargisce la sua sapienza, ma piuttosto la sua Fede ed il suo Amore.

E se davvero è saggio, non vi invita ad entrare nella dimora del suo sapere, ma vi guida alla soglia della vostra mente...”

(Kalhil Gibran)

La musica è tra i doni più misteriosi di cui sono dotati gli esseri umani.

(Darwin Charles)



Ecco quel che ho da dir sulla musica: ascoltatela, suonatela, amatela, riveritela e tenete la bocca chiusa. La teoria è quando si sa tutto e niente funziona. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché. Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c'e' niente che funzioni… e nessuno sa il perché !

                                                                                                    (Einstein Albert)